Jeremy Rifkin: l’Italia può farcela, ma solo con l’economia della condivisione
Nell’ambito del Forum PA abbiamo incontrato l’economista americano che sprona il nostro Paese a ripartire proprio dagli investimenti sulla sostenibilità.
“L’Economia della Condivisione è il bambino del capitalismo, bambino che sta mettendo da parte il padre” con queste parole l’economista visionario Jeremy Rifkin stigmatizza il rapporto tra la vecchia economia industriale e la nuova “Sharing Economy” in occasione dell’inaugurazione del Forum PA.
I pilastri portanti di quella che lui stesso definisce una nuova rivoluzione, sono 3: le nuove tecnologie di comunicazione (capaci di interconnettersi e scambiarsi dati), le energie rinnovabili e lo sviluppo di mezzi di trasporto intelligenti.
Per Rifkin il tramonto dell’era industriale è il passaggio verso una nuova cultura della sostenibilità, in cui l’Italia, come l’Europa, non possono non investire. Tardare potrebbe significare non riuscire a superare la crisi e continuare a trascinarsi nel vecchio modello economico ormai saturo, in cui è impossibile crescere. Gli ostacoli non mancano: infrastrutture comunicative centralizzate, trasporti a combustione interna, monopoli della rete internet, combustibili fossili, sono solo alcuni esempi delle grandi sfide che bisogna superare.
La chiave di volta dell’articolata quanto visionaria teorizzazione dell’economista è l’”Internet delle Cose” (IOT) che trasforma ogni oggetto che ci circonda, in un dispositivo intelligente capace di raccogliere informazioni, condividerle, imparare, rimanere efficiente ed essere raggiungibile dal web. Questa grande rete di sensori che ottimizzano consumi ed efficacia è un “super-internet” orizzontale, in cui i costi marginali tendono a zero. In futuro in rete troveremo tutte le informazioni per fare quello che desideriamo o di cui abbiamo bisogno, con costi bassissimi; tutte le attività economiche reperiranno facilmente le informazioni finanziarie di cui necessitano a costi minimi se non uguali a zero. In questo contesto diventiamo dei “prosumer”, non solo consumatori attivi e consapevoli, ma anche produttori e rivenditori di prodotti e servizi. Tutti, ad esempio, possiamo creare energia e diffonderla, mettere in rete informazioni o software in libero scambio, creando un modello ibrido di consumo e produzione.
Questa nuova democraticità e l’abbattimento dei costi, rivelano la vera natura dell’economia di scambio: una nuova “cultura”, un nuovo sentire delle giovani generazioni, la cui libertà non è essere autonomi e autosufficienti, ma essere “connessi”.
Una cultura dell’apertura, non dell’esclusività, non più interessata alla proprietà ma all’utilizzo, una cultura della condivisione, circolare e sostenibile, in cui diventa importante essere e non avere.
All’Italia “..Paese che amo molto per la sua creatività” Rifkin ha dedicato la parte finale del suo intervento. L’economista è convinto che il nostro paese abbia un enorme potenziale, molto più consistente di tanti altri paesi, ora sta alle Pubbliche Amministrazioni saperlo coltivare con gli investimenti giusti, ma anche con un grande vantaggio: non dobbiamo trovare altri fondi perché, secondo la teoria della sharing economy, saranno generati dall’ottimizzazione dei processi economici esistenti.
Immagine tratta dal World Travel & Tourism Council, CC BY 2.0 https://creativecommons.org/licenses/by/2.0, via Wikimedia Commons