11 brand conquistano il podio del greenwashing 2021
Dal petrolio a emissioni zero, al piantare miliardi di alberi nel deserto, le campagne di greenwashing sono diventate tante nel 2021. Eco-Business mette in evidenza gli episodi in cui le imprese e i governi sono stati criticati per aver fatto affermazioni di dubbia credibilità sulla sostenibilità.
Il greenwashing ha raggiunto proporzioni pandemiche nel 2021: aziende e governi si sono dati da fare per dire al mondo quanto si preoccupino delle persone e del pianeta, con vari “livelli” di credibilità.
Ogni tipo di marchio, dai governi ricchi di petrolio ai produttori di acqua in scatola, ha cercato di saltare sul carro della sostenibilità ispirata dal Covid-19, con una valanga di comunicazioni e campagne net-zero, plastic-neutral, palm oil-free o gender-inclusive. Tante aziende hanno affermato che la sostenibilità è al centro di tutto ciò che fanno, cosa che è messa in dubbio proprio dalle reali attività di questi soggetti.
I livelli di greenwashing sono diventati così gravi quest’anno, che l’industria delle pubbliche relazioni del sud est asiatico, ha lanciato a luglio un gruppo di lavoro a Singapore, per capire come controllarlo.
Nel 2020, Eco-Business ha trovato otto esempi di marchi che hanno fatto affermazioni sulla sostenibilità, che poi non hanno superato il controllo.
Quest’anno ne ha trovati 11:
Piantare alberi nel deserto:
L’Arabia Saudita ha dichiarato di voler piantare 40 miliardi di alberi in una regione prevalentemente desertica.
L’Arabia Saudita ha annunciato a marzo che avrebbe piantato 50 miliardi di alberi come parte di un piano per raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2060. Sono stati forniti pochissimi dettagli su come dovrebbe funzionare il più grande programma di riforestazione del mondo, in un paese con limitate risorse di acqua.
Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha affermato che il paese prevede di continuare a estrarre idrocarburi riducendo le proprie emissioni attraverso la tecnologia di cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio (CCUS) e creerà una “economia circolare del carbonio”. Matthew Archer, ricercatore presso il Graduate Institute Geneva, ha dichiarato ad Al Jazeera: “È assurdo pensare che un’economia basata sull’estrazione e la combustione di combustibili fossili possa essere ‘circolare’ in qualsiasi senso significativo della parola. L’unico modo in cui possa funzionare è affidarsi a tecnologie che non esistono ancora. Queste iniziative sono tanto ambiziose quanto ambigue, con pochissimi piani concreti e nessun meccanismo di verifica”.
L’alleanza per porre fine ai rifiuti di plastica o per produrne molti di più?
L’Alleanza per la fine dei rifiuti di plastica è stata definita come una “distrazione” per proseguire nei piani di espansione delle “Big Oil”.
The Allliance to End Plastic Waste (AEPW), un’organizzazione no-profit con sede a Singapore, sostenuta da grandi compagnie petrolifere e chimiche come Shell, ExxonMobil e Dow, afferma di spendere 1,5 miliardi di dollari per ripulire i rifiuti di plastica nei paesi in via di sviluppo. Ma un’indagine della Reuters di gennaio ha evidenziato non solo il fallimento di uno dei progetti di punta dell’Alleanza per ripulire il fiume Gange in India, ma anche il fatto che queste aziende stanno pianificando di aumentare drasticamente la produzione di plastica, che aggraverà la crisi dell’inquinamento. Greenpeace ha definito AEPW una “distrazione” dai veri piani di espansione di Big Oil.
A novembre, l’AEPW ha pubblicato un contenuto sul suo sito web intitolato: “Perché una corretta gestione dei rifiuti è più importante dell’eliminazione della plastica”, che si oppone ai divieti o ad altri mezzi per ridurre la produzione di plastica. Tom Peacock-Nazil, co-fondatore di Seven Clean Seas, un’organizzazione per la pulizia degli oceani dai rifiuti, ha commentato su LinkedIn che l’articolo di AEPW è una “propaganda” che fa sembrare AEPW una “normale lobby” dell’industria della plastica.
DeepGreenwash
L’azienda Metals Company afferma di estrarre metalli dal fondo del mare per responsabilità.
In un video pubblicato su LinkedIn, The Metals Company paragona l’estrazione dei minerali per le batterie, sulla superficie terrestre, descrivendola come invasiva e impattante, con l’estrazione sui fondali marini: descrivendola invece come un modo delicato e sostenibile per ottenere i metalli utili, semplicemente aspirando piccole rocce sul fondo del mare.
Peccato che l’estrazione mineraria sui fondali marini convince in pochi: significa contaminare una parte dell’ecosistema ancora non compromesso, con risultati e rischi inaspettati e non valutati da questa romantica versione del “mining”.
Numerosi sono gli appelli di scienziati, ambientalisti e persino aziende a vietare l’estrazione mineraria in acque profonde, a causa dell’impatto ambientale dell’estrazione mineraria in un ecosistema meno conosciuto della superficie della luna.
Bottiglia in carta che nasconde la plastica
La confezione del siero per il viso del marchio di cosmetici coreano Innisfree, aveva la scritta “Hello, I’m Paper Bottle” sul lato. Poi si è scoperto che la bottiglia di carta aveva un interno di plastica
Grazie al gruppo No Plastic Shopping, si è scoperto che la campagna “Ciao, Sono una bottiglia di carta” era in realtà puro greenwashing. “Mi sono sentito tradito quando ho scoperto che il prodotto della bottiglia di carta era una bottiglia di plastica”, si legge nel post dell’utente che ha anche presentato un reclamo ufficiale a un centro consumatori, contro l’etichettatura “green” del prodotto in questione.
Una stazione di rifornimento fatta di “eco-mattoni”
La stazione di Shell, nelle Filippine che vende petrolio, è realizzata con mattoni di plastica riciclati.
Il modello di business alla base degli ACES Awards, gestiti dalla società di pubbliche relazioni MORS Group con sede a Kuala Lumpur, è di distribuire premi alle aziende dopo che hanno pagato migliaia di Ringgit malesi per vincere. Per dare un’idea dell’integrità di questo schema, il vincitore del “premio per l’innovazione verde” di quest’anno è andato a Shell, la major del settore petrolifero, per aver costruito stazioni di mobilità che vendono petrolio con “mattoni ecologici”, cioè fatti di plastica riciclata . Marian Ledesma, attivista zero rifiuti per Greenpeace nelle Filippine, ha sottolineato su Linkedin: Ogni anno, le aziende responsabili di crisi ambientali, ottengono premi per progetti una tantum o programmi superficiali, che non riducono le loro emissioni, non cambiano il loro modello di business e non affrontano i problemi di impatto produttivo. Questo spudorato greenwashing, facilitato e giustificato dai premi, non ci aiuta a ottenere l’azione di cui abbiamo bisogno.
Idrocarburi carbon neutral
Olio per auto “Helix Ultra” di Shell… ora carbon neutral. Alla società è stato intimato a marzo, in Olanda, di smettere di affermare che il suo petrolio era carbon neutral.
Olio a emissioni zero – sì, per quanto possa sembrare assurdo: all’inizio dell’anno, le compagnie petrolifere (la prima è stata la Occidental Petroleum con sede negli Stati Uniti…) hanno iniziato a marcare i loro barili a zero emissioni di carbonio perché affermavano di aver acquistato sufficienti compensazioni di carbonio per tenere conto delle emissioni di carbonio dei loro idrocarburi. Shell ha fatto lo stesso, utilizzando la società di pubbliche relazioni Edelman per presentare il suo olio per motore auto Helix Ultra come “carbon neutral” (lo stesso olio in vendita nei premiati negozi di mattoni ecologici Shell) a Singapore con quanto segue: se stai cercando di fare un passo avanti verso un futuro più sostenibile e di condurre uno stile di vita eco-compatibile, riteniamo che i lubrificanti Shell Helix Ultra carbon neutral, saranno una buona scelta.
A marzo, a Shell è stato ordinato di interrompere la pubblicità nei Paesi Bassi perché l’azienda non aveva prove che le loro affermazioni fossero autentiche. Presentare a Reuters i combustibili fossili come carbon neutral è come “un’azienda del tabacco che dice di vendere sigarette prive di nicotina perché ha pagato qualcun altro per vendere delle gomme da masticare”, ha detto alla Reuters David Turnbull, portavoce del gruppo di difesa Oil Change International con sede a Washington.
Scarpe poco sostenibili
Le scarpe Stan Smith di Adidas sono state accusate di essere state fatte con materiali riciclati al 50%.
Il marchio con le tre strisce, Adidas – presumibilmente uno dei beniamini dell’eco dell’industria della moda – è stato ritenuto colpevole di aver fatto affermazioni di sostenibilità false e fuorvianti, da parte di una giuria di etica pubblicitaria in Francia, questo settembre. Il marchio di abbigliamento sportivo tedesco è stato colto in fallo dopo che le sue affermazioni sul “riciclaggio al 50%” per la sua scarpa Stan Smith sono risultate vaghe: l’azienda intendeva forse che metà dei materiali utilizzati per realizzare le scarpe da ginnastica sono riciclati o che possono essere riciclati dopo l’uso? E se sì, come? Il denunciante ha anche affermato che il logo “End plastic waste” del prodotto è poco chiaro ed induce in errore, in quanto è improbabile che indossare un paio di scarpe da ginnastica Stan Smith, realizzate con materiale non completamente riciclato, porrà fine all’inquinamento da plastica.
Il petrolio è un “carburante pulito”
Santos punta a raggiungere lo zero netto entro il 2040. ACCR afferma che il piano non è credibile, poiché la società mira ad espandere l’estrazione di combustibili fossili nel tempo.
La major petrolifera australiana Santos è stata portata in tribunale ad agosto per aver affermato di produrre “energia pulita” e di mirare a raggiungere emissioni zero entro il 2040, basandosi su una tecnologia di cattura del carbonio non testata. Anche il gruppo di attivisti Australasia Center for Corporate Responsibility (ACCR) ha contestato Santos. Dan Goucher, direttore del clima e dell’ambiente di ACCR, ha definito le affermazioni “completamente ingiustificate”.
Il packaging più sostenibile al mondo
L’alluminio ha dei costi di estrazione ed un impatto ambientale, non inferiori a quelli della plastica.
L’alluminio è più verde della plastica, giusto? Questo è ciò che l’industria delle lattine di alluminio vuole far credere ai consumatori, con una serie di nuovi marchi, come il prodotto BeWater della Ball Corporation della Vietnam e il marchio statunitense Ever & Ever, che affermano che l’alluminio è “infinitamente riciclabile” e quindi è meglio per l’ambiente rispetto all’acqua in bottiglia di plastica. “La nostra missione è eliminare le bottiglie di plastica monouso migliorando l’acqua”, afferma BeWater sul suo sito web. “BeWater è un’alternativa ecologica, socialmente sostenibile e conveniente all’acqua in bottiglia di plastica”.
Ma questa affermazione è “pura fantasia” e “non in linea con i fatti”, afferma Stephan Ulrich, responsabile del programma regionale dell’Organizzazione internazionale del lavoro in Vietnam. L’alluminio può essere altamente riciclabile, ma non c’è abbastanza materiale riciclato per soddisfare la domanda e l’estrazione dei materiali necessari per produrre alluminio è estremamente dispendioso in termini di energia e acqua. Dal punto di vista del carbonio e dell’inquinamento, non potrebbe esserci materiale peggiore dell’alluminio per realizzare un contenitore monouso. “Per non parlare dell’idea che la spedizione di acqua potabile in tutto il mondo abbia un senso”, afferma Ulrich.
Prestito “sostenibile” per il porto del carbone
Un prestito legato all’efficientamento di un inquinatore, diventa sostenibile.
La National Australia Bank (NAB) ha ricevuto un ironico plauso dal gruppo ambientalista Market Forces a giugno per aver etichettato un prestito di 515 milioni di dollari australiani (374 milioni di dollari) concesso al più grande terminal di esportazione di carbone del mondo, il porto di Newcastle nel New South Wales, come ” sostenibile”. Il prestito legato alla sostenibilità è stato fornito con incentivi per il raggiungimento di determinati obiettivi ambientali e sociali, come il miglioramento dell’efficienza del terminal. “I micro-miglioramenti nell’efficienza delle emissioni al porto hanno ignorato l’elefante nella stanza: il 95% delle esportazioni della struttura sono carbone”, scrive un commento su un quotidiano australiano.
Equinor zero
Che aspetto ha il greenwashing delle major petrolifere?
La maggiore compagnia petrolifera statale norvegese Equinor sfugge spesso agli insulti, come invece succede a ExxonMobil, Shell e Chevron, grazie ai suoi sforzi di passare all’energia pulita. La società ha annunciato un obiettivo zero netto per il 2050 nel novembre 2020, impegnandosi ad allinearsi con l’accordo di Parigi e con l’intenzione di essere un “leader nella transizione energetica”, secondo l’amministratore delegato, Anders Opedal. Nel primo trimestre del 2021, quasi la metà delle entrate dell’azienda proveniva dalla vendita di progetti di sviluppo di parchi eolici. Ma nello stesso trimestre, dell’energia totale venduta da Equinor, solo lo 0,54% era a zero emissioni di carbonio, sottolinea un articolo del divulgatore scientifico Ketan Joshi.